Colobraro è un piccolo Comune della Provincia di Matera, situato su di un colle del Preappennino lucano di 665 metri sul livello del mare. Il nome deriva dalla parola latina coluber = serpente, in quanto luogo infestato da serpi/scorzoni. Le origini, secondo alcune fonti storiche, risalgono al XI secolo, data di fondazione del Cenobio Basiliano di Santa Maria di Cironofrio, secondo altre fonti intorno al XII secolo con la costruzione del Castello. La sua fama di luogo “magico” è legata alle ricerche effettuate dall’antropologo Ernesto De Martino tra il 1950 e il 1957 mirate a comprendere i rituali magici praticati in Lucania e anche qui a Colobraro.
IL CASTELLO
Secondo alcuni manoscritti del 1787, la costruzione del castello risalirebbe già all’804, a opera del barone Antonio Caffo. Più probabilmente il castello fu edificato nel XII sec. e fu dimora di molteplici feudatari: si susseguirono dal 1117 Albereda di Chiaromonte, signora di Colobraro e Policoro, moglie ripudiata di Roberto il Guiscardo; dal 1119 il Conte Bertaimo d’Andria che la donò a Ugone e Margherita, Conti di Chiaromonte; dal 1270 i signori Angioni Taxino de lovino e da questi passò a Eustachio de Jovenale da Colobraro; dal 1463 Roberto Sanseverino Principe di Salerno; dal 1562 Eleonora Comite. Il castello, come apprendiamo da Lorenzo Giustiniani, nel 1617 fu acquistato dalla potente famiglia dei Carafa della Stadera di Napoli con cui avrà una certa stabilità nel potere. Carlo Carafa sarà il primo a prendere il titolo di Principe di Colubrano, titolo che la famiglia ha sempre mantenuto. Dalla famiglia Carafa discende il noto musicista Michele Enrico CARAFA, collega coevo di Gioacchino Rossini. Nel 1732 la terra di Colobraro passò alla famiglia dei Donnaperna, che ne furono marchesi fino all’unità d’Italia; poi il castello passò ai Brancalasso di Tursi e venne abbandonato andando in decadenza. Il castello è posto sul punto più alto del borgo ed è raggiungibile da percorsi ripidissimi che tagliano verticalmente il lato sudovest della collina, su cui è arroccato Colobraro. Sul lato nord-orientale, praticamente irraggiungibile, vi è un residuato delle mura di cinta, munite di feritoie. A nord è ancora visibile una torre angioina e spezzoni di muro che testimoniano la presenza di un ponte levatoio; presente e intatta anche la scalinata che conduce dal paese al castello. L’antica e probabile torre quadrilatera è stata abbattuta e gli ambienti sono stati utilizzati come stalle e deposito delle abitazioni prospicienti il castello. Purtroppo, il maniero ridotto allo stato di rudere, anche per il terremoto del 1856, non ha dato la possibilità di compiere una ricostruzione attendibile riguardo alle sue origini. Le uniche notizie attendibili riguardano i dati relativi alla struttura esterna e interna prima dell’ampliamento del 1500 a opera dei Carafa forniti dal Bretagna: secondo questi nel castello c’erano oltre quaranta vani al primo piano e grandi magazzini e atri al piano terra; successivamente con la costruzione di muraglioni si formò un altro piano per la costruzione di altre sei sale e di una grande scuderia. Una galleria sotterranea, oggi non più esistente, collegava il castello alla cappella gentilizia dell’Icona. Completava la bellezza architettonica dell’edificio il Palazzo della paggeria, residenza degli armigeri e degli scudieri (attuale Palazzo Fortunato). Il castello tra il 2009 e il 2015, dopo 150 anni di totale incuria, ha ricevuto un importante restauro conservativo ed i primi recuperi funzionali. Dal belvedere del castello si gode un fantastico, magico e meraviglioso panorama: il Massiccio del Pollino, il Mar Jonio e il Golfo di Taranto, il lago di Monte Cotugno, le valli dei fiumi Sinni, Sarmento e Agri, i Calanchi di Colobraro e Tursi e tanto altro.
LA CHIESA DELL'ANNUNZIATA
La Chiesa dell’Annunziata (di fatto denominata Chiesa Nuova di San Nicola, in quanto costruita con l’intento di diventare la nuova Chiesa matrice del Paese) basa la sua morfologia su un sistema di collegamenti esterni che riannodano il centro antico con l’antistante area settecentesca, rendendo così il volume organico al contesto e in perfetta osmosi fra spazio interno e spazio esterno. Collocata su un promontorio in vista della Valle del Sinni, il suo campanile, raggiungibile anche dall’esterno, si trasforma in punta di avvistamento e faro. Fu progettata dall’architetto Nicola Pagliara, prof. dell’Università di Napoli, ed è stata costruita tra il 1972 e il 1978. Per la sua realizzazione si è scelta la bella pietra bianca di Trani, finemente bocciardata e lasciata a vista, con la quale è stato realizzato l’interno e l’esterno dell’edificio su una struttura in cemento armato.
La complessa articolazione dello spazio, degli spalti e delle gradinate ha realizzato una forma fortemente espressiva e avvolgente che bene si uniforma con il tessuto urbano esistente. Nonostante la destrutturazione delle funzioni, l’edificio letto dalle diverse possibili prospettive, mantiene una compattezza e una stabilità morfologica coerenti. L’interno, sobrio e semplice, è costituito da un’unica navata, con pavimento in sanpietrini di porfido. La chiesa è sorta sul luogo ove era presente un’altra chiesa intitolata a Maria Santissima dell’Annunziata, abbattuta negli anni ’60 perché pericolante. La precedente Chiesa costruita a spese della comunità nel 1628, richiamava elementi di arte romanica e rinascimentale con una struttura architettonica e decorativa essenziale.
LA CHIESA ED IL CONVENTO DI SANT'ANTONIO
LA CHIESA DI SANT’ANTONIO
Frutto dell’ampliamento seicentesco della Cappella di San Salvatore, come si nota anche da alcuni elementi architettonici emersi internamente ed esternamente nel corso del recente restauro, la Chiesa di Sant’Antonio fu eretta unitamente al Convento. I frati vollero dedicarla al loro popolare Santo, che a Colobraro è oggi il santo più venerato. L’esterno della chiesa richiama vagamente lo stile rinascimentale; il prospetto principale evidenzia un pronao ad arco molto ampio anteposto all’ingresso della Chiesa, forse aggiunto successivamente alla facciata dell’edificio in origine simmetrica con il complesso conventuale. Si notano su alcune pareti esterne dei contrafforti, probabilmente realizzati a seguito di terremoti o altri smottamenti per rinforzare l’edificio. L’interno, i cui decori richiamano vagamente lo stile barocco, è formato da un’unica navata coperta a botte, alle cui pareti sono posti sei altari minori sovrastati da nicchie incassate in archi a sesto acuto. Sullo sfondo si trova l’altare maggiore in marmi policromi e alla sua sinistra un piccolo pulpito; in un ripiano in alto, dietro l’altare, campeggia un imponente organo. Il Convento custodisce la statua di Sant’Antonio, molto venerato in paese (festa liturgica sabato/domenica coincidenti o successivi al 13 giugno) e il Gesù morto deposto in una bara di vetro, che viene “portato” in processione il Venerdì Santo con la madonna vestita di nero perché a lutto.
IL CONVENTO DEI FRANCESCANI DELL’OSSERVANZA
La sua edificazione ha inizio nel 1601, in adiacenza della Cappella di San Salvatore. Fu eretto con spesa comunitaria e con l’approvazione del Vescovo di Anglona per ospitare 12 monaci francescani. Situato oltre le mura della terra di Colobraro, era circondato da un vasto orto. La struttura si sviluppa su due livelli intorno al pregevole CHIOSTRO interno. Il piano terra del Convento, restaurato tra il 2009 e il 2015 per essere adibito a laboratorio demo-etno-antropologico, conserva inalterato il suo impianto originale sia per i locali che per il chiostro caratterizzato da arcate a tutto sesto poggianti su pilastri quadrangolari. Al centro del chiostro vi è il pozzo quadrangolare la cui vera è stata realizzata con conci finemente scolpiti. Al piano terra e nell’orto esterno i monaci svolgevano tutte le attività quotidiane legate al lavoro; al piano superiore si trovano le cellette che hanno ospitato i monaci francescani per il riposo e le orazioni. L’esterno, recuperato agli inizi degli anni 2000, è stato realizzato con la caratteristica pietra locale e forma un corpo unico con la Chiesa di Sant’Antonio da Padova, con la quale in origine comunicava anche internamente.
LA CHIESA MADRE E LA CAPPELLA GENTILIZIA DELL'ICONA
LA CHIESA MATRICE DI SAN NICOLA
La sua costruzione risale al XII secolo, pressoché coeva alla costruzione del vicino castello. Realizzata sulla sommità del Paese con pietra locale, ha l’abside rivolto verso est (un po’ come era in uso nel periodo bizantino) e da valle si possono ammirare i suoi ampi finestroni a forma ogivale. Attira in particolare l’attenzione l’ampio portale esterno in pietra. Sempre dall’esterno spicca l’imponente campanile ricostruito nel 1933, in quanto il campanile originale crollò nel 1923. L’interno è in stile romanico “spurio” con tre navate, di cui quella centrale più lunga delle due laterali. Le navate comunicano tra loro attraverso quattro ampie arcate sostenute da colonne quadrate in muratura, l’altare maggiore è in marmo. Nella chiesa esistono altri altari di modesta fattura. La chiesa è stata restaurata internamente ed esternamente negli anni ’60 e dopo il terremoto dell’80: tali restauri ne hanno modificato soprattutto il tetto, nascondendo le originali capriate, e il pavimento ora in marmo, mentre in precedenza era in pietra locale. Dalla navata laterale di sinistra si accede alla piccola cappella del purgatorio, corpo edilizio aggiunto successivamente, mentre dalla navata laterale di destra si accede alla bella Cappella dell’Icona.
LA CAPPELLA GENTILIZIA DELL’ICONA
Eretta probabilmente tra il ‘400 e il ‘500 in adiacenza alla Chiesa Madre e contigua al Castello con cui era collegata anche sotterraneamente, risente dell’influsso di vari stili architettonici, probabilmente dovuti anche agli interventi succedutisi tra i Principi che hanno detenuto il Castello. L’esterno è stato realizzato sempre con pietra locale anche se denota influssi dell’arte asiatica, la cupola invece pare essere influenzata da elementi decorativi normanni ed è molto simile a quella di Santa Maria del Patirion di Rossano Calabro. Un’iscrizione in latino all’interno della Cupola ci informa che “Questo tempio gentilizio sotto il titolo della Vergine della Cona, fatto costruire come si tramanda da Cecinella Carafa, principessa della terra di Colobraro, rovinato ormai da tempo, donna Maria Maddalena Carafa dei Marchesi Tortorelli, moglie del Marchese Giulio Cesare Donnaperna e banoressa della medesima terra, a sue spese fece restaurare, ornare e riportare ad un migliore e nuovo aspetto. Anno del Signore 1794”. La Cappella fu quindi restaurata e arricchita di decorazioni e stucchi e negli anni ’60 ne è stato rifatto anche il pavimento. La Cona era abbellita da alcuni quadri di pregio ora presso il Museo Lanfranchi di Matera, tra cui il Trittico raffigurante la Madonna col Bambino, di cui se ne può ammirare una miniatura nella Cappella.
IL PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
Tipica opera di architettura risalente al periodo fascista, l’edificio completato nel 1936 è stato anche ospedale da campo, municipio e istituto scolastico. Oggi ospita la Biblioteca Comunale, l’Info Point Turistico e l’esposizione di alcune mostre permanenti sulla civiltà contadina e altre mostre tematiche nel periodo estivo. Ospita inoltre le sedi delle associazioni locali trasformandosi così in un vero e proprio contenitore culturale.